Della strategia per l'inclusione lavorativa, sono importante tassello le Linee Guida sul Sistema di Gestione per la Parità di Genere, varate dal Dipartimento delle Parti Opportunità della Presidenza del Consiglio, il 16 marzo 2022
Una nuova alba irradia il mondo del lavoro.
È quella delle politiche di diversità e inclusione. Il lavoro si trasforma in un luogo di intreccio fecondo tra esigenze produttive e organizzative dell'impresa e peculiarità della persona. Si sviluppa secondo due aspetti:
Da un lato, il benessere dei lavoratori, con l’aumento del tasso di innovazione, soddisfazione e fidelizzazione dei clienti, dall'altro, employer branding e l’incremento dei risultati economici aziendali come emerge dal Diversity Brand Index 2022, secondo cui i ricavi delle imprese "inclusive" sono più alti del 23%.
La sfida di queste politiche è quella di assestare una battuta d’arresto a quegli atteggiamenti, apparentemente neutri, che indirettamente pregiudicano lavoratori di determinate razza, origine etnica, età, nazionalità o di un determinato genere, orientamento religioso e politico, oppure disabili, le c.d. discriminazioni indirette.
Esse sono retaggio di quella tradizione fordista che condannava alla "diversità" donne, anziani, bambini, in considerazione della loro debolezza fisica e, di conseguenza, di una capacità produttiva inferiore a quella delle braccia operose e silenziose che infoltivano le fila del "proletariato".
Secondo l'indagine WorkForce in Europe 2018, nel nostro Paese il 42% dei lavoratori interpellati, a fronte del 34% della media europea, avverte di essere discriminato per età anagrafica, genere, background, livello di istruzione, nazionalità, religione, aspetto fisico e sessualità.
Alla luce del Gender Gap Report 2020, l'Italia si classifica alla 76° posizione per disparità di genere rispetto ai 153 Paesi coinvolti mentre per World Economic Forum nel 2021, il nostro Paese vanta un tasso di occupazione femminile basso. Nel 2018 era del 49,5%, contro quello maschile del 67,6%, della popolazione tra i 15 e i 64 anni.
Della strategia per l'inclusione lavorativa, sono importante tassello le Linee Guida sul Sistema di Gestione per la Parità di Genere, varate dal Dipartimento delle Parti Opportunità della Presidenza del Consiglio, il 16 marzo 2022.
Esse stimolano le imprese verso obiettivi di parità di genere con tre leve:
· 1. Certificazione sulla parità di genere con seri benefici in termini reputazionali;
· 2. Accesso a decontribuzione entro determinati tetti;
· 3. Premialità in caso di partecipazione agli appalti del Pnrr.
Le imprese hanno ampi margini di autonomia nella scelta delle iniziative utili allo scopo e sono valutate secondo un'articolata serie di indicatori, c.d. Key Perfomance Indicators.
È il principio di accountability, c.d. responsabilizzazione, a governare la loro azione, simile a quello che ha governato il processo di adeguamento in materia di privacy secondo il Regolamento Europeo n. 679 del 2016, c.d. Gdpr.
Anche il "modello organizzativo" è articolato, con somiglianze con l'impalcatura del d.lgs. n. 231 del 2001 in tema di responsabilità amministrativa delle società mentre il sistema di deleghe sembra, in parte, mutuato dal d.lgs. n. 81 del 2008 in tema di sicurezza sul lavoro.
Nessuna, nemmeno lontana, analogia con le conseguenze delle eventuali inosservanze, essendo escluse analoghe responsabilità in capo alle società che non raggiungono la parità di genere. L'ottica è, invero, esclusivamente premiale e mai sanzionatoria.
In estrema sintesi, l'architettura delle Linee Guida si regge su quattro architravi:
a) un Comitato Guida, costituito dall'Amministratore Delegato, o da un delegato della proprietà, e dal direttore del personale o altra figura equivalente, prova della delicatezza riconosciuta al tema;
b) un piano strategico sulla parità del genere adottato da tale organo, con un monitoraggio costante sulla sua attuazione e tenuta nel tempo;
c) un monitoraggio dell'applicazione di tale piano, anche attraverso audit interni;
d) un audit esterno rimesso ad un Organismo di Certificazione, a cui devono prendere parte alternativamente un avvocato giuslavorista, un consulente del lavoro o una persona con esperienza qualificata nel campo.
Le aziende che ottengono la certificazione sulla parità di genere possono scegliere di aggiornarla dopo due anni, in caso di innovazioni interne che impattano su essa.